Bruto Pomodoro (Milano, 1961) va da tempo conducendo un tutto suo attraversamento dei codici e dei linguaggi della pittura, quasi una enfatizzazione della nostra idea di stile che si espande sino a entrare in crisi e dissolversi. Nella serie di opere recenti egli adotta il codice di base dell’astrazione geometrica, quello della tradizione alta di Van Doesburg e Vantongerloo, per farne lo scenario delle irruzioni di intarsi che evocano il mondo organico, la biologia, lo svilupparsi di forme curvilinee che si fa, alla fine, arabesco. Entro riquadri perfettamente in linea con l’organizzazione geometrica degli spazi ecco questi corpi estranei imprimere altri andamenti, altri ritmi alla visione, e insinuarci l’idea che ordine e disordine, vitalità oscura e razionalità, sono pure convenzioni alle quali ci adattiamo, entrambi prodotti del nostro modo storico di “pensare astratto”. E’ un gioco ispido, questo, anche dal punto di vista tecnico e dei processi compositivi. Pomodoro lo conduce con piglio sottilmente ironico e soprattutto con solida maestria da grande disegnatore, padrone di questi spazi, di queste scale coloristiche calibrate e insieme dissonanti, dei mille possibili di una visionarietà non banale.
Corriere della sera – 30 Agosto 2002