L’insostenibile mutevolezza del Disgiunto: riflessioni sulla scultura.

La determinazione di nuovi corpi, di nuove forme che – nel disfacimento entropico della forma ordinata identificata con l’Archetipo – iniziavano a vivere di vita propria mi ha permesso di sperimentare nuove vie di raffigurazione che, per assonanze e discordanze, a volte volute e altre volte del tutto casuali, ironicamente – seppur in forma astratta – sempre di più riconducono alla figura.

Allontanandomi dalla disputa sterile fra astrazione e figurazione, ho accettato di farmi traghettare in spazi inesplorati dove posso ormai veramente incontrare di tutto.

I Disgiunti, nati inizialmente come tentativo abortito di assemblare le diverse parti costitutive che vanno a formare la matrice archetipa e inutilizzabili, a meno di sovvertire le leggi della fisica, giacevano inutilizzati fino a che non ho iniziato a capire che avevano una loro dignità e forza anche come elementi plastici isolati.

Nel febbraio del 2008 provo a realizzare in marmo il primo di una lunga serie di queste sculture: nasceva il Disgiunto III, che a distanza di anni, più lo osservo più non cessa di emozionarmi.

Poiché per me il progetto, il disegno é imprescindibile prodromo alla realizzazione della scultura, ho iniziato a staccarmi dal “gioco ad incastri” delle diverse parti dell’Archetipo e ho iniziato sempre più a realizzare i nuovi Disgiunti come creature a se stanti, avulse dal contesto primitivo.

Sicuramente un imput determinante é stato l’aver accettato la sfida di rappresentare un’immagine sacra (il San Cristoforo barghigiano) attraverso il mio proprio lessico: dopo una lunga ricerca iconografica ho resettato tutto ciò che avevo visto, in termini figurali, e ho iniziato a ragionare secondo i miei canoni. Con sorpresa ho visto che il risultato era assolutamente comprensibile a tutti gli osservatori: pur trattandosi di un’immagine astratta, l’opera era incontrovertibilmente identificabile con la raffigurazione iconografica del Santo in questione.

Ho quindi iniziato a progettare le mie nuove opere seguendo temi ben precisi: da sempre affascinato dalla continua mutevolezza dell’elemento acqueo mi sono addentrato dentro un oceano di forme infinite, in quello che é il mio progetto, non ancora concluso, per gli “Studi su cinque movimenti delle acque”.

Sono nate perciò le opere Disgiunto Ondamarina e successivamente il Disgiunto Altamarea.

Forme nate casualmente sono divenute per assonanza “passi di danza”: prendono quindi forma sculture quali Tangueros e Disgiunto Twist.

Ancora, volutamente, la ricerca su talune figure femminili, cardini dell’universo artistico, produce opere quali Mater (in un primo momento chiamata “Pietà”, poiché era mio intento preciso operare attraverso un’interpretazione analitica della michelangiolesca Pietà Rondanini) e Bianca odalisca, con preciso riferimento alle odalische di matissiana memoria.

Infinita é a questo punto, una volta arrivati a padroneggiare il proprio linguaggio, la possibilità di racconti da narrare, e infiniti i campi delle forme da creare.

Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se, deposto il pennello, non avessi preso in mano gli strumenti del fare scultura: perché é proprio questa disciplina, con il suo continuo investigare attorno allo spazio – e al suo opposto, il vuoto – che permette di raggiungere traguardi inarrivabili attraverso la bidimensionalità.

La tecnica del “levare” ti consente continuamente di scoprire nuove forme all’interno del blocco di materia che si va a scolpire, così come ti pone limiti fisici e allo stesso tempo non ti permette di rimediare a errore alcuno. Ma soprattutto, togliendo materia alla materia, ti accorgi di venire fisicamente a contatto con il vuoto: non un mero concetto, non un’essenza metafisica che pensiamo possa essere non identificabile, non un opposto dialettico al pieno.

I residui di polvere di gesso o le scaglie di marmettola che si producono mentre si raspa o si scalpella testimoniano la sua presenza, reale più che mai: sono i figli abortiti delle infinite forme che non vedranno mai la luce o che la vedranno in tempi successivi, sono l’insostenibile mutevolezza della forma, in un caleidoscopio di possibilità che l’atto dello scolpire permette di portare alla luce, sottraendo al dominio che il vuoto reclama costantemente nuove forme, nuove immagini, nuove sculture.

 

Bruto Pomodoro