Riflessioni sulla figura dell’archetipo

Andando alla ricerca di un modello ideale e tipologicamente originario che condensasse in un’unica struttura morfologica la somma di tutte le valenze figurali del vivente in senso lato, la mia ricerca sull’Archetipo è nata quasi contemporaneamente alla mia decisione di lasciare il disegno scientifico per approdare alle sponde del vasto mondo della pittura.

Sicuramente influenzato dai miei studi sull’embriologia, che maggiormente mi hanno affascinato durante il mio percorso universitario, la scelta è caduta sulla rappresentazione di un particolare momento dello sviluppo embrionale, denominato gastrula, durante il quale – attraverso una serie di movimenti morfogenetici molto complessi – si individuano delle aree, denominate territori presuntivi, dalle quali si andranno a formare gli elementi costitutivi della complessa architettura del vivente.

Senza addentrarmi oltre su questi meccanismi, tanto complessi quanto misteriosi, ho iniziato a costruire una forma che, lontana dalla rappresentazione figurale appena descritta, operasse una sintesi in chiave astratta di questa fase embriologica così complessa, andando a prendere come modello il capostipite dei vertebrati – un echinoderma chiamato dollaro di sabbia – che, per la purezza delle sue forme e per la sua posizione all’interno della scala evolutiva, potesse riassumere al meglio una delle leggi fondamentali dell’embriologia, secondo la quale “l’ontogenesi – ossia l’insieme dei processi attraverso cui ogni individuo completa il proprio sviluppo organico – ricapitola la filogenesi – ossia la storia evolutiva di ogni singolo essere, che racchiude in se la traccia di tutti gli esseri preesistenti”.

Nel corso degli anni ho operato sull’Archetipo una complessa serie di metamorfosi morfologiche, tanto più complesse quanto più mi allontanavo dalla matrice originaria, restando sempre però fedele ad alcune leggi biologiche che ancorano la struttura del vivente a dettami precisi sulle simmetrie e sull’organizzazione spaziale, tanto che la primigenia fonte ispiratrice – l’ormai abbandonato dollaro di sabbia – è divenuta oggi irriconoscibile, trasmutata da molteplici passaggi stilistici che la avvicinano più a costruzioni surrealistiche alla Arp che non a qualche riconducibile forma del vivente.

Tuttavia rimane vivo, a livello di richiamo, il concetto di esistenza in continua evoluzione che questi Archetipi evocano, così come credo e spero si avverta la costruzione narrativa, per la quale ho usato stilemi astratti di diverse avanguardie, che è elemento fondamentale delle mie composizioni. In un continuo rimando dialettico fra la rappresentazione del vivente, attraverso l’Archetipo, e del suo contenuto informativo genetico, dapprima suggerito dall’uovo e oggi trasposto da una rappresentazione signica del DNA, ho sempre cercato di rappresentare il miracolo della vita e il mondo segreto della sua trasmissione, senza tralasciare le ipotesi più avveniristiche della manipolazione dei codici genetici e della creazione di nuove forme viventi ad opera dell’uomo, senza per questo fornire risposte, formulare giudizi o dichiarare verità, con quel distacco umanista che cerca, attraverso l’osservazione, di rappresentare la realtà fenomenologia di quanto ci circonda.

Abbandonati vetrini e microscopi, ho preferito il linguaggio del colore e della geometria per comporre – attraverso dei canoni narrativi artistici – un lessico più immediato e fruibile che, tra reale e fantastico, possa fornire una rappresentazione più immediata di quel mondo misterioso e arcano la cui comprensione è oggi nelle mani di pochi tecnocrati, ma che non può fare a meno di coinvolgerci tutti.

Bruto Pomodoro

Febbraio 2005