Ho sempre creduto nella stretta connessione dei rapporti fra arte e scienza, dal momento che in ambedue gli ambiti di ricerca l’intuizione resta una qualità fondamentale; e fra arte e matematica, giacché quando l’intuizione si traduce in immagine e si schematizza in geometrismi, l’ideatore delle formule che intendono raffigurare i rapporti fra strutture e dimensioni possiede una capacità creativa e comunicativa.
Considerazioni che si fanno ovvie e persino banali quando ci riferiamo alla cosiddetta arte astratta, e in particolare all’astrattismo geometrico; dove poi, da poco più di un secolo, era subentrato il problema dei rapporti forma – colore.
Questo preambolo è per sottolineare che Bruto Pomodoro non soltanto dimostra “per penicilla” tali affinità e coincidenze, ma ne è testimone e interprete consapevole; e addirittura nasce come scienziato, trasferendo poi le sue riflessioni di biologo in una pratica immaginifica, cioè nell’ideazione di forme pittoriche legate al suo pensiero. E il discorso non finisce qui: giacché lo studio della natura non tanto lo porta, nell’espressione artistica, a rappresentare luoghi e forme dell’ambiente, ma a indagarne le radici remote; sicché i suoi schemi compositivi, più che costituire un’interpretazione intellettuale ed estetica del mondo in cui viviamo, sono un sistema per gettare lo sguardo nel profondo: nelle radici del vivere dentro lo spazio e dentro il tempo.
Gli studiosi e i critici che hanno commentato l’opera di Bruto pittore ne hanno perfettamente colto questa ricca e originale sostanza, e questa speciale qualità: Bruto è consapevole delle proprie radici formali – lui stesso si riferisce a Mondrian, e quindi al Bauhaus, specie per il problema dei rapporti forma/colore – e teorizza il proprio modo di esprimersi, non solo sul piano dei contenuti ma della forma stilistica. Oserei dire che non ha certo bisogno di intermediari per comunicare quello che fa; e tuttavia l’intermediario ha la funzione di cogliere dalla sua parte, cioè con la sua personale recettività, il messaggio dell’artista. Messaggio sottile, poiché la sua visione della natura e delle forme di vita, pur essendo di base analitica, nella creazione artistica si fonde, si fa organica e omogenea; senza peraltro ridursi a un’immagine compatta, che a questo punto diventerebbe magmatica: le figure sono sempre elasticamente differenziate, percorse da un ritmo geometrico/musicale.
Guardiamo le ultime opere. I titoli sono una conferma della consapevole volontà interpretativa: così l’Elogio del quadrato, un quadrato percorso all’interno da linee sghembe e arricchito di spessore per l’inserirvisi di effetti tridimensionali; tra questi risulta il motivo dell’uovo, simbolica matrice, e di una struttura frammentata ad andamenti curvilinei, di plastica consistenza. E’ la medesima struttura che nella recente produzione domina lo spazio delle immagini dedicate agli archetipi: dolcemente e insieme drammaticamente aggrovigliate e convulse, simbolo di un’evoluzione in atto che in altri dipinti appare testimoniata dallo sfrecciante dinamismo delle linee rette. E il tema della clessidra, che alcuni titoli sottolineano, pur nel riferimento a ritmi pacati si riallaccia al concetto del rapporto delle forme con il tempo. Il quadrato, come dice in una sua presentazione lo stesso Bruto, è di per se simbolo di regola, di chiarezza e nitore; ma anch’esso slitta nello spazio, si sovrappone ad altre forme, senza mai convulsioni o fluttuazioni, ma con dinamismo vitale.
Ho parlato di dipinti; il termine è improprio: la tecnica usata da Bruto è estremamente varia, con l’uso frequente di sabbia, che sembra voler testimoniare e sottolineare il rapporto dell’immagine con la realtà fisica della natura, e con la sua inafferrabile scorrevolezza.
C’è dietro a tutte queste opere consapevolezza scientifica, dunque, come dicevo in esordio; scienza e arte non sono in contrapposizione. Ma la scienza indaga; l’arte interpreta: ne riceviamo il messaggio con libera emozione.
Rossana Bossaglia
Dal catalogo della mostra “Sull’elogio del quadrato”, Sarzana 2001